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👕 Abbiamo un problema che si chiama Fast Fashion

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!

Ecco cosa offre il menù di oggi:

  • 👕 Abbiamo un problema che si chiama Fast Fashion

  • 🤔 TIM: ha fatto bene a vendere la propria rete?

LE RISPOSTE AL SONDAGGIO
☀️ Hai pannelli solari in casa?

Queste le risposte al sondaggio della scorsa newsletter. La maggioranza di voi (il 61%), non ha pannelli solari in casa, ma vorrebbe metterli. Ci ha stupito invece l’alta la percentuale di voi che li ha installati nelle proprie abitazioni: ben il 31%!

BUSINESS & MODA
👕 Abbiamo un problema che si chiama Fast Fashion

Il Black Friday è trascorso da poco, il Natale si avvicina, e le aziende leader del fast fashion continuano a far parlare di loro.

Da una parte Zara lancia in Italia il servizio Pre-Owned, dall’altra il colosso cinese Shein sembra pronto alla quotazione nel 2024.

Prima di tutto, un breve ripasso… cosa si intende con fast fashion?

Il termine viene utilizzato per indicare collezioni progettate e prodotte in modo rapido ed economico e che arrivano al consumatore finale ad un prezzo mediamente basso. Da Zara a H&M, da Shein a Forever21, da Primark a Mango o Pull&Bear: insomma, il fast fashion è da tutte le parti.

La realtà però è che questo modello di business è poco sostenibile e il suo problema è abbastanza chiaro: basso prezzo = bassa qualità = scarse condizioni lavorative.

E oltre alle scarse condizioni lavorative delle filiere del fast fashion, questo “movimento” incoraggia il sovra-consumo di abbigliamento e genera un impatto ambientale tutt’altro che indifferente.

Certo, i vari colossi del settore rispondono ad una domanda di mercato che sicuramente c’è, considerato che queste aziende vedono i propri ricavi e profitti crescere di anno in anno, con stime che valutano il mercato del fast fashion a ben $185 miliardi nel 2027.

E uno dei protagonisti del fast fashion è Shein…

Shein è l’azienda cinese fondata nel 2008 da Chris Xu, che molti conoscono per essere esplosa durante il periodo pandemico grazie ai video “Haul” su TikTok, ovvero filmati di pochi minuti in cui influencer e creator mostravano le decine di acquisti fatti a pochi euro.

Ad aprile 2023 la società aveva raggiunto una valutazione di $66 miliardi, piazzandosi quarta nella classica delle aziende non quotate di maggior valore al mondo, dietro solamente a ByteDance (TikTok), SpaceX e ANT Group.

E ora, la società vuole quotarsi in borsa

Nelle ultime settimane, Shein ha presentato istanza di quotazione alla borsa americana, supportata da Goldman Sachs, J.P. Morgan e Morgan Stanley. Anche se ancora non sono circolate le cifre ufficiali, sembra che Shein abbia l’obiettivo di quotarsi ad un valore di ben $90 miliardi!

Se l’IPO andasse in porto a questi valori, rappresenterebbe un record assoluto per una società cinese quotata negli States.

Certo, alcuni analisti hanno espresso i propri dubbi proprio riguardo ai $90 miliardi, perché Shein è stata spesso oggetto di critiche per la qualità dei suoi prodotti, le condizioni lavorative dei suoi impiegati e il suo impatto ambientale.

Secondo loro è difficile che il mercato possa valutare così tanto una società con queste caratteristiche, a maggior ragione visto che parliamo di un’azienda cinese (che dal punto di vista degli USA è tutt’altro che un pregio).

E Zara? Davvero prova a far qualcosa per l’ambiente?

Il negozio flagship di Zara a Milano

Altro gigante del fast fashion è Zara, la nota catena spagnola da oltre 2.232 punti vendita sparsi in più di 90 paesi.

Zara che sembrerebbe stia cercando di lanciare un’iniziativa volta a mitigare il suo impatto ambientale (almeno in parte), entrando nel segmento del vestiario di seconda mano, tramite il servizio “Zara Pre-Owned”. Servizio che, dal 12 dicembre, sarà attivo anche in Italia e in altri 14 paesi europei.

Ma come funziona Pre-Owned?

Da dicembre in poi potremo trovare in alcuni punti vendita selezionati degli appositi contenitori in cui lasciare capi d’abbigliamento o calzature usate, anche di altri marchi, che saranno poi raccolti e gestiti da organizzazioni no-profit.

Queste, quando possibile, provvederanno al riutilizzo oppure in alternativa al riciclo dei vestiti. Ma non solo: sarà possibile anche affidarsi a Zara per riparare i propri capi del marchio, oppure rivendere o acquistare prodotti “usati”.

Insomma, il colosso del fast fashion cerca di muoversi un po’ verso la sostenibilità, e questo fa sicuramente piacere. Certo, contando che non si prevedono dismissioni della sua attività principale, i più critici obiettano già (forse giustamente) che più che vera iniziativa, questa non sembra altro che una gran bella mossa di green-washing.

E tu? Acquisti fast-fashion? Faccelo sapere rispondendo al sondaggio!

Acquisti in negozi (o online) di fast-fashion?

Perchè?

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BUSINESS & TECH
🤔 TIM: ha fatto bene a vendere la propria rete?

Ormai lo sappiamo: TIM ha venduto una parte della sua attività ad un fondo americano (di tutta la questione ne avevamo parlato qui). Ora abbiamo però qualche informazione aggiuntiva sui numeri…

Complice una situazione finanziaria resa insostenibile da un debito “monstre” (€33 miliardi), alla fine a TIM non rimaneva molta scelta sul vendere o meno la propria infrastruttura di rete.

E se gli acquirenti americani di KKR sorridono, però, la società italiana adesso ha gli strumenti per guardare al futuro con maggiore ottimismo.

Ok, ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo il deal

Il 5 novembre scorso, il CdA di Tim ha deliberato la vendita del ramo aziendale “NetCo” (aka, tutta l’infrastruttura di rete dell’azienda) al fondo americano KKR, per circa €18,8 miliardi (subito), che potrebbero salire a oltre €22 miliardi in futuro.

La decisione è arrivata dopo mesi di trattative con altri operatori, tra cui Open Fiber, e anche dopo vari tira e molla con la stessa KKR e con il Governo.

Questo perché l’operazione che ha portato alla cessione di NetCo è definita strategica per lo Stato Italiano, motivo per cui il governo si è dovuto assicurare che il deal fosse configurato nel modo corretto.

KKR si è quindi aggiudicato l’infrastruttura, ma il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), sborsando circa €2,2 miliardi, si è assicurato quasi il 20% del capitale di NetCo, in modo da poter prendere parte alle decisioni strategiche future per salvaguardare gli interessi nazionali.

Quindi è stata un’operazione win-win?

Sembrerebbe proprio di sì, almeno dalle previsioni e dalle analisi effettuate sin qui.

Certo, i margini della rete venduta erano enormi (circa il 40%), ma l’unica soluzione rimasta a Tim per prendere ossigeno (aka cassa) era quella di cedere l’infrastruttura.

Questo perché il debito complessivo della società era arrivato a sfiorare i €33 miliardi, una situazione non più sostenibile. Per capirci, solo nel 2022 Tim aveva pagato €1,6 miliardi di interessi sul debito, pari a più del 10% del fatturato!

E poi, nonostante i buoni risultati di NetCo (oltre €4 i miliardi di revenues nel 2021), le esigenze di investimenti per migliorare la rete avrebbero raggiunto a breve cifre miliardarie… che - per farla breve - Tim non poteva permettersi.

Insomma, con la vendita Tim perderà sì la propria infrastruttura, ma farà diminuire il debito in maniera consistente e potrà quindi agire libera da un macigno che si portava appresso con grande fatica.

E KKR nel mentre si sfrega le mani…

KKR godrà infatti di un’infrastruttura moderna e redditizia, con ricavi stimati per il 2030 pari a ben €5,4 miliardi. Ed ad aiutare con gli investimenti troverà l’Ue, che con il Pnrr garantirà alla NetCo ben €1,6 miliardi.

Insomma, non proprio un brutto affare, né per l’una né per l’altra parte…😉

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Il 10 dicembre 1901, vengono assegnati i primi Premi Nobel a Stoccolma, in Svezia. La cerimonia si svolge nel quinto anniversario della morte di Alfred Nobel, l'inventore svedese della dinamite e di altri esplosivi.

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