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🚕 I tassisti guadagnano davvero €1.300 al mese?

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!

Ecco cosa offre il menù di oggi:

  • 🚕 I tassisti guadagnano davvero €1.300 al mese?

  • 🤔 Arriva la riforma sull’autonomia differenziata

SETTORE DEI TAXI

🚕 I tassisti guadagnano davvero €1.300 al mese?

Quello dei taxi in Italia è sempre stato un tema estremamente discusso, tra chi inneggia ad una necessità di liberalizzare completamente il mercato e chi invece difende i diritti acquisiti delle categoria dei tassisti.

Quando si parla di taxi, però, spesso non si parla di un altro tema molto importante: i guadagni dei tassisti e quello che dichiarano.

Se guardiamo ai dati del Ministero delle Finanze (rielaborati dal Sole24Ore), scopriamo che nel 2022 i tassisti hanno dichiarato un reddito molto basso, nonostante il boom del turismo post-lockdown e l’aumento della domanda di trasporto pubblico.

Ma facciamo un passo alla volta.

Quanti taxi ci sono in Italia?

Quando si parla di taxi, uno dei problemi più citati (giustamente) è che ce ne sono troppo pochi.

Come riportato in questa estesa inchiesta di Wired Italia sull’argomento, Roma è la città con il maggior numero di taxi (7.838), seguita da Milano (4.855) e Napoli (2.364).

I numeri assoluti però ci dicono gran poco, per cui ha senso paragonarli al numero di abitanti delle varie città. Si tratta, di fatto di 36 taxi ogni 10mila abitanti per Milano, 28 a Roma e 26 a Napoli.

Ma è confrontando i dati con quelli delle più grandi città europee, che ci si rende conto di quanto sia preoccupante la situazione…

  • 🇬🇧 Londra ha una numero di taxi per numero di abitanti triplo rispetto a quello di Milano, quadruplo in confronto a Roma

  • 🇩🇪 Solo Berlino tra le capitali europee ha un'incidenza di taxi per abitanti inferiore a quella delle tre più grandi città italiane, ma lì sono presenti Uber e 9 linee di metropolitana

Il motivo di questa arretratezza tutta italiana ormai lo sappiamo: le licenze per i taxi non vengono rilasciate da decenni.

Ad esempio:

  • a Genova non ci sono nuove licenze dal 1980

  • a Livorno dal 1977

  • a Roma e Milano l'ultimo aumento di licenze risale a 20 anni fa

E il motivo di tutto questo è da ritrovare, tra le altre cose, nella pressione che la lobby dei tassisti esercita, perché ovviamente un limite all’emissione di nuove licenze porta enormi benefici a chi queste licenze le ha già (nonostante il servizio ai cittadini sia tutto fuorché ottimale).

E a tutto questo si aggiugne il tema dei guadagni…

Un tassista in media dichiara €1.300 al mese

Nel 2022, i tassisti italiani sono tornati a guadagnare quanto percepivano prima della pandemia, ovvero in media €15.500 lordi l'anno, pari a €1.300 lordi al mese.

Queste cifre, però, non sono chissà quanto compatibili con gli investimenti elevati che un tassista deve sostenere per lavorare:

  • 📝 Licenza: dai €73.000 ai €150.000 a seconda della città

  • 🚘️ Costo dell’auto: dai €35.000 ai €65.000 per un’auto ibrida o elettrica

Stando a questi numeri, se un tassista guadagnasse veramente €1.300 lordi al mese e su questi non pagasse alcuna tassa, non spendesse nulla in affitto, cibo e altre forme di consumo, ci metterebbe lo stesso almeno 7 anni solo per ripagarsi la licenza…

Insomma, stando ai redditi dichiarati, un tassista farebbe una grande fatica a portare avanti la sua attività

Ma quale sarebbe la soluzione a tutto questo?

Una soluzione dovrebbe passare da una vera liberalizzazione del mercato, sia attraverso una vera apertura alle forme di noleggio con conducente (i vari Uber etc), sia attraverso una riforma della gestione delle licenze, prevedendone abbastanza per garantire un livello di servizio adeguato a quello che è - di fatto - un servizio pubblico.

Secondo te in Italia la 'questione taxi' è gestita come si deve?

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POLITICA ITALIANA

🤔 Arriva la riforma dell’autonomia differenziata

Nella notte di tra il 18 e 19 giugno è stata approvata alla Camera la legge sull’autonomia differenziata delle regioni.

La riforma, voluta fortemente dalla Lega, potrebbe portare ad un allocazione più efficiente delle risorse pubbliche, ma potrebbe anche aggravare il problema di un’Italia a due velocità.

Cerchiamo di vederci chiaro.

Cosa comporta l’autonomia differenziata?

In sostanza, d’ora in avanti le Regioni potranno richiedere e ottenere un maggior potere decisionale su alcune materie.

Per capire su quali, bisogna conoscere la divisione che fa la Costituzione:

  • 🟢 Materie di competenza esclusiva dello Stato: qui troviamo sicurezza, giustizia, difesa, politica estera, immigrazione

  • 🟡 Materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni: qui troviamo sanità, valorizzazione dei beni culturali, istruzione, ricerca, protezione civile, porti e aeroporti, trasporti e altri

  • 🔴 Materie non specificate nei primi due gruppi, che diventano in automatico di competenza regionale

La riforma dell’autonomia differenziata riguarda tutto ciò che appartiene al secondo gruppo.

Per queste, d’ora in poi lo Stato deciderà i principi generali che le regolano, mentre le Regioni stabiliranno il funzionamento specifico nel proprio territorio.

In verità, già la riforma costituzionale del 2001 aveva stabilito che le Regioni potessero chiedere l’autonomia, ma ora il Parlamento ha approvato la legge che stabilisce come questo potrà avvenire concretamente.

Nonostante ciò, realizzare l’autonomia differenziata non sarà così semplice, anche perché..

Prima di tutto vanno definiti i LEP

Le Regioni non potranno chiedere l'autonomia finché il Governo non avrà definito i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).

I LEP infatti sono una condizione necessaria affinché non si creino cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Si tratta di quelle prestazioni e servizi che devono essere offerti con un certo standard in tutto il territorio nazionale: solo così si evita che, ad esempio, un cittadino del Sud sia penalizzato solo perché la propria Regione non ha abbastanza fondi per garantire i servizi.

Anche qui però, sembra facile a dirsi ma un po’ meno a farsi.

Il concetto di LEP, infatti, esiste dal 2001, ma da oltre 20 anni i vari governi hanno cercato (invano) un modo per definirli concretamente.

Ora però il Governo sembra ‘fare sul serio’ e si è dato un tempo massimo di 2 anni per definirli.

Detto ciò, quali sono i pro e contro dell’autonomia differenziata?

I possibili pro potrebbero essere:

  •  Allocazione delle risorse più efficiente, poiché le amministrazioni locali conoscono meglio i bisogni del territorio

  •  Maggiore responsabilizzazione dei politici regionali, in quanto sarà più facile per i cittadini controllare l’operato dei politici

Ma ci sono anche una serie di contro da considerare:

  •  Disuguaglianze nei livelli delle prestazioni: ad esempio, la gestione della sanità a livello regionale potrebbe creare forti disuguaglianze tra Nord e Sud

  • Applicare i LEP costerà parecchi miliardi allo Stato, che dovrà aumentare gli standard dei servizi pubblici offerti in molte regioni, soprattutto quelle del Sud e questo comporterà una spesa che il governo non ha ancora detto come intende trovare

  • Alcune delle materie che ora verranno spostate a livello regionale, vista l’importanza che ricoprono forse dovrebbero avere una legislazione nazionale o addirittura comunitaria (pensando all’energia, alla sanità o all’istruzione)

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