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🇩🇪 Nazismo e management: come la grande industria tedesca si arricchì con Hitler
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Ecco cosa offre il menù di oggi:
🇩🇪 Nazismo e management: come la grande industria tedesca si arricchì con Hitler
💵 Il mondo è meno cashless di quanto pensiamo

STORIA ECONOMICA
🇩🇪 Nazismo e management: come la grande industria tedesca si arricchì con Hitler

Nel gennaio 1932, in una villa vicino Düsseldorf, si consumò uno dei momenti più sottovalutati e devastanti della storia europea. Adolf Hitler non era ancora il dittatore che conosciamo, ma un politico in cerca di legittimazione, che prometteva ordine, crescita economica e soprattutto la fine del comunismo.
Ad ascoltarlo c’erano ventiquattro dei più potenti industriali tedeschi: Fritz Thyssen, Ferdinand Porsche, Hugo Boss, insieme ai vertici di Siemens, IG Farben e Daimler-Benz. Non lo vedevano come una minaccia, ma come un investimento. Un uomo duro, radicale, ma utile per riportare stabilità, fermare gli scioperi e difendere i loro affari.
Quel giorno non vennero firmati documenti, ma si consolidò un patto tacito: il grande capitale avrebbe sostenuto il nazionalsocialismo in cambio di ordine e protezione. Fu una scelta che, nella loro miopia, considerarono pragmatica. E che invece contribuì ad aprire la strada a una delle tragedie più grandi del secolo.
Ma come ha fatto Hitler a guadagnare il sostegno dei grandi industriali?
La Germania era reduce da un decennio devastante, segnato da:
🪖 la sconfitta militare del 1918,
🇫🇷 le riparazioni imposte dal Trattato di Versailles,
💰️ l’iperinflazione che aveva cancellato i risparmi di milioni di persone,
⏬ la disoccupazione di massa,
💣️ il caos politico della Repubblica di Weimar
Quando anche la Grande Depressione del 1929 travolse il Paese, l’incubo di una rivoluzione sul modello sovietico iniziò a sembrare concreto.
In quel caos, Hitler apparve improvvisamente un baluardo contro la minaccia comunista.

Gli industriali decisero di finanziarlo, convinti che avrebbe riportato ordine.
L’industria come estensione del regime
Hitler, una volta al potere, mantenne le promesse:
💪 nel 1933 abolì i sindacati, arrestò i leader e creò un’organizzazione del lavoro controllata dal regime
🔪 nel 1934, con la Notte dei Lunghi Coltelli, eliminò l’ala più “socialista” del partito, rassicurando definitivamente l’élite economica
🪖 dal 1936, con il Piano Quadriennale di Göring, l’intera economia fu indirizzata verso la preparazione alla guerra. Le imprese rimasero formalmente private, ma vennero assorbite in un sistema di pianificazione statale che dettava priorità, investimenti e limiti ai profitti
Fu in questo clima che grandi aziende tedesche si fusero completamente con i progetti del regime:

Adolf Hitler e i più grandi industriali tedeschi
🏭️ Krupp divenne il fulcro della produzione di acciaio, artiglierie e mezzi corazzati
🏎️ Porsche lavorò ai veicoli militari e al progetto della “Volkswagen”
🧪IG Farben fornì benzina sintetica, gomma Buna, esplosivi, farmaci e poi, tragicamente, lo Zyklon B
🪖 Daimler-Benz, BMW, Siemens, Rheinmetall, Mauser e Hugo Boss integrarono le loro attività nella macchina da guerra
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, l’apparato industriale tedesco era diventato l’estensione operativa del Terzo Reich.
La trasformazione dell’industria in un sistema di schiavitù
Con la Seconda guerra mondiale, l’industria tedesca ottenne accesso diretto a risorse, fabbriche e manodopera dei territori occupati. Le aziende presero il controllo degli impianti e li riconvertirono alla produzione bellica.
Ma la guerra richiedeva più lavoratori di quanti il Paese potesse offrire. La soluzione del regime fu brutale:
deportazioni di massa,
prigionieri di guerra impiegati nelle fabbriche,
civili rastrellati nei territori occupati,
lavoro schiavile gestito dalle SS
Nel 1944 oltre 7,5 milioni di stranieri e 3 milioni di prigionieri sostenevano l’apparato produttivo del Reich.

Le condizioni erano disumane: baracche sovraffollate, razioni minime, maltrattamenti continui.
Il caso più emblematico fu IG Farben, che costruì l’impianto di Monowitz accanto ad Auschwitz. Lì, la produzione industriale si intrecciò direttamente con il genocidio: chi non reggeva i ritmi veniva inviato alle camere a gas, dove si usava lo Zyklon B prodotto dalla stessa azienda.

Altri esempi non furono meno gravi:
Krupp impiegò deportati nei propri impianti,
Volkswagen utilizzò lavoratori forzati a Wolfsburg,
Porsche richiese prigionieri per i progetti legati ai razzi V-2
Il dopoguerra e la rimozione delle responsabilità
Alla fine della guerra la Germania era in rovina, ma il potere delle grandi famiglie industriali era rimasto praticamente intatto. A Norimberga vennero processati i dirigenti di IG Farben e della famiglia Krupp, accusati di schiavitù e saccheggio. Le condanne ci furono, ma furono sorprendentemente lievi: entro il 1951 quasi tutti erano già liberi.

Alfried Krupp durante il processo di Norimberga
La Guerra Fredda ribaltò completamente le priorità degli Alleati, soprattutto degli Stati Uniti, che puntarono sulla ricostruzione economica della Germania Ovest come baluardo contro l’URSS. Di conseguenza:
🧪IG Farben venne sciolta, ma rinacque in Bayer, BASF e Hoechst,
🏭 Krupp tornò centrale nella siderurgia,
🚗 Volkswagen diventò simbolo del miracolo economico tedesco
Per decenni la memoria delle vittime rimase marginale e i risarcimenti arrivarono solo negli anni ‘90.
La storia insegna
La storia ci mostra che una società può ricostruirsi anche senza fare davvero i conti con le proprie responsabilità. Quando la memoria diventa selettiva, chi ha collaborato con il potere si autoassolve e si presenta come vittima. Ma la verità è che nessuno è solo un ingranaggio: ogni scelta pesa.
E, come ricorda Arendt, nessuno ha davvero il diritto di limitarsi a obbedire.
Se vuoi scoprire di più su come memoria, politica e affari abbiano riscritto il racconto del dopoguerra, guarda subito il nostro ultimo video su YouTube 👇️
MONDO
💵 Il mondo è meno cashless di quanto pensiamo

Mentre in molti parlano di società cashless e fine del contante, i dati raccontano una storia completamente diversa: in gran parte del mondo, le banconote restano il metodo di pagamento dominante per gli acquisti quotidiani.
Un recente studio che aggrega dati da banche centrali report globali mostra come le distanze tra le economie mondiali non siano solo tecnologiche, ma profondamente culturali e infrastrutturali.
Ma quindi… dove si usa ancora il contante?
I numeri sono impressionanti:
🇲🇲 Myanmar guida la classifica con il 98% delle transazioni quotidiane in contanti
🇪🇹 Etiopia al 95%
🇬🇲 Gambia al 95%
Ma non si tratta di casi isolati:
90% in Albania, Cambogia, Laos, Vietnam, 88% in Nepal, 87%in Pakistan, 85% in Iran 82%, Cuba, Mongolia
80%: Egitto, Ghana, Giamaica, Giordania, Messico, Sri Lanka
Queste sono economie dove il contante non è semplicemente un mezzo di pagamento, ma una garanzia di accesso all'economia stessa, soprattutto dove i sistemi bancari sono fragili o poco diffusi.
Perché in molti paesi il contante resta irrinunciabile?
Le ragioni dietro questi numeri vanno oltre la semplice arretratezza tecnologica:
🏦 Sistemi bancari deboli o inaccessibili: in paesi come Myanmar o Etiopia, aprire un conto corrente non è semplice né economico. Il contante diventa l'unico modo per partecipare all'economia
📱 Infrastrutture digitali carenti: senza internet stabile o diffusione di smartphone, i pagamenti digitali restano un miraggio
💼 Economia informale dominante: in molti paesi, gran parte dell'economia si muove fuori dai circuiti ufficiali. Il contante garantisce anonimato e immediatezza
🤝 Fiducia e abitudini culturali: in società dove la fiducia nei sistemi digitali è bassa, la banconota fisica resta una certezza tangibile
E in Italia come siamo messi?
L'Italia si posiziona al 62%, un dato che ci colloca:
✅ Ben lontani dai paesi europei più digitalizzati
❌ Ma in linea con la nostra tradizione di piccoli commerci e aree interne

Per fare un confronto con i nostri vicini europei:
🇪🇸 Spagna: 47%
🇫🇷 Francia: 42%
🇩🇪 Germania: 19%
🇳🇱 Paesi Bassi: 16%
Insomma, usiamo il contante più del triplo rispetto alla Germania e quasi quattro volte più dei Paesi Bassi.
Perché questa differenza così marcata?
Nel nostro paese pesano diversi fattori:
🛍️ La presenza capillare di piccoli esercizi commerciali che preferiscono il contante
💶 Una popolazione non sempre incline ai pagamenti elettronici
🏦 Le commissioni bancarie sui pagamenti digitali
😀 La diffusione dell'economia informale
E i paesi più digitalizzati?
All'estremo opposto troviamo i campioni del cashless:
🇳🇴 Norvegia: 3%
🇸🇪 Svezia: 5%
🇰🇷 Corea del Sud: 8%
Questi paesi hanno in comune:
Politiche governative che incentivano i pagamenti digitali
Popolazione con alta alfabetizzazione digitale
Ma attenzione: anche nei paesi più digitalizzati, il contante non è scomparso del tutto. Resta come opzione di backup e per alcune categorie di popolazione che preferiscono la tangibilità delle banconote.
Insomma, mentre il mondo della finanza parla di criptovalute e pagamenti contactless, la realtà quotidiana di miliardi di persone resta ancorata al contante. E forse, prima di immaginare un futuro completamente cashless, dovremmo chiederci se sia davvero quello che tutti vogliamo.
In Italia dovremmo spingere di più verso i pagamenti digitali? |

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🟩 Anche la COP30 è piena di lobbisti dei combustibili fossili (IlPost)

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🇨🇳 Come la Cina vuole dominare anche il mercato dei robotaxi (Wired)

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🐝 I bombi non smettono mai di stupirci e ora salta fuori che sono in grado di imparare una sorta di codice Morse (Wired)

Il 16 novembre 1940, a Varsavia, le autorità naziste completano la costruzione del muro che isola il ghetto ebraico
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