• il Punto
  • Posts
  • 🏭️ ILVA: il disastro che nessuno ha voluto fermare

🏭️ ILVA: il disastro che nessuno ha voluto fermare

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!

Ecco cosa offre il menù di oggi:

  • 🏭️ ILVA: il disastro che nessuno ha voluto fermare

  • 💸 Lo Stato deve restituire 1 miliardo a Tim

ITALIA

🏭️ ILVA: il disastro che nessuno ha voluto fermare

È il 26 luglio 2012 quando il GIP del tribunale di Taranto firma il sequestro dell'area a caldo dell'ILVA, la più grande acciaieria d'Europa.

Le accuse sono pesantissime: disastro ambientale, omicidio colposo, avvelenamento, esposizione dei lavoratori a sostanze tossiche. È il più grande sequestro industriale della storia italiana.

Quel giorno avrebbe dovuto segnare la fine della storia dell'ILVA. E invece è stato solo l'inizio di una vicenda ancora più assurda.

Per capire il caso ILVA bisogna tornare agli anni Sessanta

Siamo nel pieno del boom economico italiano. Il Paese si stava industrializzando rapidamente e la domanda di acciaio cresceva in modo vertiginoso.

È in questo contesto che, nel luglio 1960, la società siderurgica statale Italsider avvia a Taranto la costruzione di quello che diventerà il più grande polo siderurgico d’Europa, a ridosso del quartiere Tamburi.

La scelta risponde a esigenze pratiche ma soprattutto a un obiettivo politico: portare lavoro e sviluppo nel Sud e colmare il divario con il Nord.

Nel 1965 lo stabilimento viene inaugurato dal Presidente della Repubblica Saragat come emblema della rinascita industriale del Mezzogiorno.

L’orgoglio industriale

Nei primi anni l’acciaieria cresce senza sosta:

  • 🏭 La produzione passa da 3 milioni di tonnellate di fine anni '60 a 7,8 milioni nel 1975

  • 👷 I dipendenti arrivano a 21.000 tra operai, ingegneri e tecnici

  • 📊 Lo stabilimento contribuisce per oltre la metà della produzione di acciaio italiana

Taranto si trasforma: la disoccupazione cala, il PIL pro capite schizza ai livelli più alti del Mezzogiorno, nascono nuovi quartieri operai.

Le prime crepe ignorate

Già dagli anni Settanta emergono i primi segnali di allarme. Le polveri rosse si depositano sui balconi, le emissioni aumentano, i medici iniziano a notare un numero anomalo di patologie respiratorie.

Eppure, ogni critica viene minimizzata o messa a tacere. La linea politica è semplice: il lavoro viene prima di tutto. Mettere in discussione l’acciaieria significa mettere in discussione la sopravvivenza economica della città.

Una gestione sempre più fragile

Accanto al problema ambientale si consolida quello economico. La gestione pubblica di Italsider è segnata da inefficienze strutturali, nomine politiche e sprechi.

Quando il mercato dell’acciaio rallenta e la concorrenza internazionale cresce, tutte queste fragilità emergono insieme.

Lo Stato è costretto a ripianare perdite sempre più grandi, fino a decidere che l’unica via d’uscita è la privatizzazione.

L’era dei Riva

Negli anni Novanta lo stabilimento viene acquisito dalla famiglia Riva, una dinastia di imprenditori lombardi già proprietaria di numerose acciaierie nel Nord Italia.

Sotto la loro gestione la produzione raggiunge livelli record, superando i 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, senza però che vengano effettuati gli investimenti promessi in materia di sicurezza e tutela ambientale.

Con i Riva, profitti aumentano, le emissioni anche.

All’interno della fabbrica si impone un modello gestionale autoritario, mentre all’esterno la città continua a pagare un prezzo sanitario sempre più elevato.

Chi sollevava dubbi sulla sicurezza veniva punito con l'esilio nella cosiddetta "palazzina LAF", dove i lavoratori ribelli vengono mandati a far nulla per ore

Il disastro sanitario

Nei primi anni Duemila i dati epidemiologici diventano impossibili da ignorare:

  • 📈 +10/15% di mortalità generale e per tutti i tumori a Taranto e comuni limitrofi

  • 🫁 +30% di mortalità per tumore del polmone

  • ⚠️ +50% di decessi per malattie respiratorie acute

  • 💀 +350% di tumore della pleura tra gli uomini

Nel quartiere Tamburi e Paolo VI, costruiti a ridosso della fabbrica, si osserva un eccesso del 42% per tumori maligni rispetto al resto della città.

E per i lavoratori dell'ILVA i dati sono ancora peggiori: tra il 40% e il 50% di casi di cancro in più rispetto alla popolazione generale.

A Taranto ormai era impossibile trovare una famiglia che non avesse almeno un amico o un parente ammalato o morto prematuramente.

Il sequestro e lo scontro istituzionale

Nel luglio 2012 la Procura avvia l’inchiesta “Ambiente Svenduto”, facendo emergere un sistema di presunte collusioni tra la dirigenza dell’ILVA e funzionari pubblici, finalizzato a occultare l’impatto ambientale e sanitario dello stabilimento.

Il 26 luglio 2012 arriva un provvedimento storico: il sequestro dell’area a caldo dell’ILVA, il più grande sequestro industriale mai disposto in Italia. Vengono arrestati Emilio Riva, il figlio Nicola e altri dirigenti dell’azienda. Le accuse sono gravissime: disastro ambientale doloso, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele.

A Taranto, nelle strade e tra i cittadini, si diffonde la speranza. Sembra finalmente l’inizio di una svolta, il momento in cui giustizia e tutela della salute prevalgono.

Ma quella speranza dura poco.

Nel giro di pochi mesi lo Stato interviene per evitare la chiusura dello stabilimento, temendo le conseguenze sociali e occupazionali. Nascono così i decreti “Salva-ILVA”, che introducono deroghe alle norme ambientali e forme di immunità penale per i gestori.

Da quel momento, la storia dell’ILVA diventa un braccio di ferro permanente tra diritto alla salute e diritto al lavoro.

Le strade mancate

Negli anni successivi si susseguono gestioni commissariali, piani di rilancio e tentativi di vendita. Nessuna soluzione strutturale viene portata fino in fondo. Le opzioni sul tavolo, in teoria, sarebbero state tre:

  • chiusura immediata con massicci interventi di bonifica

  • 🔄 riconversione industriale graduale con investimenti pubblici e privati

  • 🏭 mantenimento della produzione tradizionale con correttivi ambientali minimi

Nella pratica, si sceglie sempre una via di mezzo che non risolve nulla.

ArcelorMittal e il nuovo fallimento

Nel 2017 il governo Gentiloni decide di mettere l’ILVA in vendita, introducendo uno scudo penale per rendere l’operazione più appetibile agli investitori.

A vincere la gara è ArcelorMittal, la più grande multinazionale siderurgica al mondo, che presenta un’offerta da €1,8 miliardi, accompagnata dalla promessa di un piano di risanamento ambientale e del mantenimento di almeno 10.700 posti di lavoro.

L’arrivo di ArcelorMittal viene annunciato come la soluzione definitiva ai problemi dell’ILVA. Ancora una volta, però, le aspettative create superano rapidamente la realtà dei fatti.

La gestione si rivela fallimentare:

  • Il piano ambientale non viene attuato

  • I livelli produttivi promessi vengono abbassati

  • Gli impianti continuano a deteriorarsi

Nel 2019 il governo Conte elimina lo scudo penale e ArcelorMittal minaccia di andarsene. Dopo mesi di trattative, nel 2020 lo Stato entra nel capitale creando una nuova società, "Acciaierie d'Italia", partecipata da entrambi.

Ma la convivenza dura poco. Nel 2024 ArcelorMittal annuncia di non voler più investire e il governo Meloni risponde mettendo Acciaierie d'Italia in amministrazione controllata, nominando dei commissari ed estromettendo di fatto la multinazionale dalla gestione.

Oggi, quindi, l'ex ILVA è nelle mani dello Stato, che la tiene in vita con prestiti pubblici mentre cerca disperatamente un nuovo acquirente.

L’ILVA oggi

L'azienda è in grave dissesto finanziario e riesce a malapena a pagare gli stipendi grazie ai prestiti dello Stato.

I numeri parlano chiaro:

  • 📉 Produzione 2024: appena 2,3 milioni di tonnellate, il 20% della capacità produttiva

  • 🔥 3 altiforni su 4 sono spenti

Al momento, l’unico piano attuabile risulta quello di trasformarla in un'acciaieria verde a emissioni zero, sostituendo gli altiforni attuali con impianti elettrici. Costo stimato: almeno €5 miliardi. Che nessun privato sembra volersi addossare…

Insomma, dopo tredici anni dal sequestro, 18 decreti "Salva ILVA", un maxi processo e miliardi spesi, siamo esattamente al punto di partenza. L'acciaieria continua a inquinare, i tarantini continuano ad ammalarsi, i lavoratori vivono nell'incertezza. E nessuno ha una soluzione credibile per uscire da questo vicolo cieco.

Se vuoi approfondire questa storia, trovi tutto nell’ultimo video su YouTube 👇️ 

TELECOMUNICAZIONI

💸 Lo Stato deve restituire 1 miliardo a Tim

Dopo 27 anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha messo la parola fine al contenzioso tra Tim e lo Stato italiano.

A vincere è l'azienda di telecomunicazioni, che adesso dovrà ricevere dal governo circa €1 miliardo.

Ma com’è nata questa vicenda?

Tutto risale al 1998, quando il governo Prodi liberalizzò il settore delle telecomunicazioni, mettendo fine al monopolio di Telecom (oggi Tim).

Con la privatizzazione, l'azienda non era più obbligata a pagare il canone di concessione allo Stato.

Tuttavia, la legge italiana stabilì che l'ex monopolista dovesse comunque versare un contributo obbligatorio: 528,7 milioni complessivi.

Tim ha sempre ritenuto questa richiesta indebita e nel 2000 ha presentato ricorso al TAR del Lazio.

Il percorso giudiziario è stato lungo e tortuoso

  • 🏛️ Nel 2008 la Corte di Giustizia Europea ha dato ragione a Tim, definendo l'imposta "non dovuta"

  • ⚖️ Nello stesso anno, però, il TAR ha cambiato idea e ha respinto la richiesta di rimborso, dando ragione allo Stato

  • 📜 Nel 2009 il Consiglio di Stato ha confermato questa decisione

  • Ad aprile 2024 la Corte d'Appello di Roma ha ribaltato tutto, condannando lo Stato a restituire i soldi a Tim

A quel punto il governo ha tentato un ultimo ricorso in Cassazione, chiedendo anche la sospensione del pagamento in attesa della decisione.

Ma non è andata come sperava.

La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza della Corte d'Appello e chiudendo definitivamente la vicenda.

E adesso quanto dovrà sborsare lo Stato?

Il conto finale è salato:

  • 💰 €995 milioni di rimborso

  • 📈 Circa €25 milioni di interessi 

Ma c'è una buona notizia per i conti pubblici italiani: questo pagamento non dovrebbe avere effetti negativi sul bilancio dello Stato.

Come mai?

Perché all'interno della manovra di bilancio in corso di approvazione per il 2026 era già stato istituito un fondo da circa €2,2 miliardi a garanzia di contenziosi legali nazionali ed europei.

Quindi, almeno questa volta, il governo aveva previsto la possibilità di dover pagare e aveva già messo da parte le risorse necessarie.

Cosa pensi di questa vicenda?

Login o Iscriviti per partecipare ai sondaggi.

🇺🇦 Ucraina, gelo di Mosca sul vertice a tre ma il Cremlino apre al dialogo con L’Eliseo (AGI)

🟢 Disco verde alla Manovra, maggioranza soddisfatta opposizioni contro: "Fragile e riscritta in corso" (RaiNews)

🧱 Perché Wall Street punisce chi costruisce l'intelligenza artificiale? (Techy)

👌🏻 C’è un robot che sta in equilibrio sul solco di un'impronta digitale (Techy)

🐘 I droni alleati degli elefanti, per aiutare a tutelarli (Ansa)

🔬 Per la prima volta, cellule antitumorali sono state ingegnerizzate all'interno del corpo dei pazienti anziché in laboratorio (GNN)

Il 23 dicembre 1984, la "Strage del Rapido 904" vede l'esplosione di una bomba su un treno, causando 16 morti e quasi 300 feriti tra Napoli e Milano, un evento tristemente noto della storia italiana

Ti è piaciuta la Newsletter di oggi?

Login o Iscriviti per partecipare ai sondaggi.

Raggiungi 75mila professionisti con un click 💻️

Fai pubblicità in questa newsletter per far conoscere il tuo servizio o prodotto ad oltre 75mila professionisti, che sono per la stragrande maggioranza decision maker in azienda (C-Level, Mid-Upper management e imprenditori). Contattaci ora!

Newsletter curata da… 💌 

  • Sara Cacioli - il Punto Media (LN)

  • Duccio Pasquinelli - il Punto Media (LN)