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🏦 Jamie Dimon: l’uomo che ha tenuto in piedi Wall Street

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!

Ecco cosa offre il menù di oggi:

  • 🏦 Jamie Dimon: l’uomo che ha tenuto in piedi Wall Street

  • 🌲  Chi controlla le foreste del mondo?

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"E se perdo tutto?" È la prima domanda che ci facciamo tutti quando pensiamo di investire.

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STORIA FINANZIARIA

🏦 Jamie Dimon: l’uomo che ha tenuto in piedi Wall Street

Jamie Dimon viene spesso descritto come “il banchiere più potente del mondo”. Non è retorica: è un dato di fatto costruito nei momenti più bui della finanza moderna.

Il suo potere non deriva solo dall’essere CEO di JPMorgan Chase, ma da qualcosa di più raro: la capacità di mantenere la lucidità quando tutto intorno crolla.

La sua storia non è quella di un uomo particolarmente amato (nessun grande banchiere lo è mai davvero) ma di qualcuno che, nei momenti critici, è riuscito a diventare il punto di riferimento dell’intero sistema finanziario americano.

La calma prima della tempesta

Prima del 2008, Wall Street nuotava nell'euforia. Le banche americane guadagnavano miliardi grazie ai mutui subprime, nascondendo rischi enormi sotto prodotti finanziari sempre più complessi.

In questo clima, Dimon, in qualità di Amministratore delegato di JP Morgan, era una voce fuori dal coro. Mentre i colleghi accumulavano profitti, lui imponeva stress test severissimi, liquidava asset rischiosi e costruiva quello che sarebbe diventato famoso come il "bilancio fortezza": un cuscinetto gigantesco di capitale e liquidità.

Molti lo consideravano eccessivamente prudente. La storia gli avrebbe dato ragione.

Il salvataggio di Bear Stearns

Il primo segnale di crisi arrivò nel marzo 2008. Bear Stearns, una delle banche d'investimento più storiche d'America, si trovava a un passo dal fallimento. Specializzata in trading e derivati, si era esposta massicciamente ai titoli legati ai mutui subprime.

Il suo crollo avrebbe innescato un effetto domino devastante. Serviva qualcuno che potesse intervenire subito.

Quel qualcuno era Jamie Dimon: JPMorgan era l'unica banca abbastanza solida per intervenire.

Nel giro di un weekend, i team di Dimon esaminarono i conti e preparono un'offerta shock:

  • 📉 $2 ad azione (un anno prima ne valeva $170)

  • 👎️ $236 milioni totali (per una banca che valeva 20 miliardi solo dodici mesi prima)

  • 🏦 la Fed dovette garantire 30 miliardi pur di chiudere l'accordo

Non era un investimento: era un’operazione d’emergenza per tenere in piedi il sistema.

Ma il peggio doveva ancora arrivare…

Lehman, il panico e Washington Mutual

Quando Lehman Brothers crollò a settembre, il panico travolse i mercati globali. La liquidità evaporò nel giro di ore.

E in quel caos, un'altra istituzione gigantesca iniziò a mostrare segni di cedimento:Washington Mutual, la più grande cassa di risparmio americana, travolta dai prestiti inesigibili.

Ancora una volta intervenne Dimon.

JPMorgan acquistò WaMu per $1,9 miliardi, caricandosi una rete enorme di filiali, milioni di clienti e miliardi di crediti deteriorati. Fu una mossa rischiosa, ma trasformò JPMorgan nel nuovo perno del sistema bancario americano.

Il paradosso: più forte nella crisi

Il risultato era paradossale: mentre Wall Street crollava, JPMorgan cresceva

Dimon divenne in poco tempo il punto di riferimento del sistema finanziario. E mentre i colleghi venivano travolti da scandali o costretti a dimettersi, lui rimaneva in carica. Le istituzioni lo ascoltavano, la Casa Bianca lo consultava, i mercati reagivano a ogni sua dichiarazione.

La crescita di JP Morgan Chase sotto la sua guida è stata impressionante. Dal 2006 a oggi:

  • 🔼 utili: da $11 a oltre $58 miliardi

  • 💵 asset: da $2000 a $4000 miliardi

  • 💰️ capitalizzazione: oltre $850 miliardi

E ogni volta che una nuova banca mostra segnali di cedimento, come nel caso di First Republic nel 2023, la prima telefonata del Tesoro arriva sempre a Dimon.

Una voce che orienta interi mercati

Con gli anni Dimon non è rimasto un semplice banchiere: è diventato un opinion maker globale. Le sue lettere annuali agli azionisti vengono trattate come documenti di politica economica.

Le sue interviste plasmano il dibattito su temi come fintech, intelligenza artificiale, geopolitica economica e regolamentazione bancaria. Perfino quando prende posizioni controverse (come quando ha definito le criptovalute uno "schema Ponzi decentralizzato") le sue parole muovono i mercati.

Il suo potere deriva dalla capacità di vedere dove sta andando il settore prima degli altri. Recentemente, JPMorgan ha investito miliardi in tecnologia, super app finanziarie, blockchain e intelligenza artificiale. E questo ha consolidato il dominio della banca in un mercato sempre più competitivo, con Dimon sempre al comando.

L’eredità di un gigante

Oggi Dimon ha 69 anni ed è l’ultimo CEO ancora in carica tra quelli che hanno guidato una grande banca durante la crisi del 2008. A Wall Street la domanda è: chi verrà dopo di lui? JPMorgan ha già diversi candidati interni, ma sostituire una figura del genere sarà difficilissimo.

Perché Dimon, nel bene e nel male, è stato ciò che John Pierpont Morgan era un secolo fa: l’uomo che tiene insieme il sistema quando tutto scricchiola. Un ruolo raro, pesante e quasi impossibile da replicare.

E forse è proprio questo che rende la sua storia così unica.

👉 Se vuoi approfondire la storia di Jamie Dimon non puoi perderti l’ultimo video uscito sul nostro canale YouTube!

SOSTENIBILITÀ

🌲  Chi controlla le foreste del mondo?

Spesso si parla di tecnologie avanzate e costosissime per catturare la CO2 dall'atmosfera, ma la verità è che la tecnologia più efficiente ed economica per assorbire il carbonio esiste da sempre: le foreste.

Eppure, secondo il nuovo report della FAO (Global Forest Resources Assessment 2025), il patrimonio forestale mondiale è concentrato in pochissime mani...

E questo, dal punto di vista economico e geopolitico, è un dato che dovrebbe farci riflettere.

Ma dove si trovano le foreste del pianeta?

Il 50% di tutte le foreste mondiali si trova in soli 5 paesi

  • 🇷🇺 Russia: 833 milioni di ettari (20,1% del totale mondiale)

  • 🇧🇷 Brasile: 486 milioni di ettari (11,7%)

  • 🇨🇦 Canada: 369 milioni di ettari (8,9%)

  • 🇺🇸 Stati Uniti: 309 milioni di ettari (7,5%)

  • 🇨🇳 Cina: 227 milioni di ettari (5,5%)

Insomma, la Russia da sola detiene un quinto delle foreste globali. Se aggiungiamo Brasile e Canada, arriviamo già al 40%. Con Stati Uniti e Cina, si raggiunge esattamente la metà.

E questo ha implicazioni geopolitiche enormi

Significa che le decisioni prese a Mosca, Brasilia, Ottawa, Washington e Pechino possono influenzare il clima globale più di mille conferenze internazionali sul clima.

Una politica forestale decisa dal governo russo o brasiliano ha un impatto diretto sulla capacità del pianeta di assorbire CO2.

Il problema della “tensione tropicale“

Scorrendo la classifica poi, troviamo altre potenze verdi come:

  • 🇨🇩 Repubblica Democratica del Congo: 139 milioni di ettari

  • 🇦🇺 Australia: 134 milioni di ettari

  • 🇮🇩 Indonesia: 96 milioni di ettari

  • 🇵🇪 Perù: 67 milioni di ettari

Ed è proprio qui che entra in gioco quella che potremmo chiamare la "tensione tropicale": le foreste equatoriali, come l'Amazzonia (Brasile/Perù) o il bacino del Congo (RDC), sono le più vitali per la biodiversità e per lo stoccaggio del carbonio. Basti pensare che l'Amazzonia da sola immagazzina circa un quarto del carbonio terrestre.

Il problema è che questi paesi sono anche "hotspot" per l'estrazione mineraria, l'agricoltura intensiva e il taglio di legname...

...ed è qui che si crea la classica (e mai risolta) tensione tra la necessità di crescita economica interna e l'esigenza di conservazione globale.

Da un lato c'è la pressione economica per sfruttare le risorse forestali, dall'altro c'è l'interesse globale a preservare questi "polmoni verdi" del pianeta.

E trovare il giusto equilibrio tra queste due esigenze è una delle sfide più complesse che questi paesi devono affrontare.

Per fortuna c’è anche qualche buona notizia…

Recenti dati mostrano che le politiche attive di riforestazione possono davvero funzionare:

  • 🇨🇳 La Cina è al quinto posto non per caso, ma grazie a decenni di iniziative su larga scala come la "Grande Muraglia Verde"

  • 🇸🇪🇫🇮 Svezia e Finlandia (entrambe con circa 28 milioni di ettari) dimostrano come un'industria del legno possa coesistere con una gestione sostenibile

  • 🇹🇷🇪🇸 Turchia e Spagna hanno invertito il declino del XX secolo grazie a massicci programmi di rimboschimento

Questi esempi dimostrano che strumenti politici, come incentivi alla riforestazione e limiti rigorosi al taglio, possono produrre risultati concreti.

Va però detto che, come sottolineano gli esperti, la riforestazione è utile, ma non potrà mai sostituire la conservazione delle foreste primarie (quelle originali, mai toccate dall'uomo).

Insomma, la soluzione più economica per catturare CO2 esiste già

In un'epoca in cui si discute di giganteschi e costosissimi "aspirapolvere di CO2", forse dovremmo ricordare che la soluzione più efficiente, economica e collaudata cresce già da sola dal terreno.

Basterebbe, semplicemente, proteggerla.

Il punto è che metà di questa soluzione è nelle mani di soli 5 paesi, e questo rende la questione non solo ambientale, ma profondamente economica.

Secondo te, qual è la sfida più grande per proteggere le foreste mondiali?

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