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🛢️ Le conseguenze economiche della situazione in Medio Oriente
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🛢️ Le conseguenze economiche della situazione in Medio Oriente
💰 Arriva una tassa per chi inquina di più?
FINANZA E MERCATI
🛢️ Le conseguenze economiche della situazione in Medio Oriente
Sabato 7 ottobre, le tensioni tra Palestina e Israele sono tornate al centro dell’attenzione mediatica.
Al netto di tutto quello che sta succedendo, che è drammatico tanto per i Palestinesi quanto per gli Israeliani, in questo articolo non ci concentreremo né su ciò che sta accadendo oggi né sugli avvenimenti storici che hanno portato a dove siamo ora.
Ciò che approfondiremo è legato unicamente agli impatti economici e finanziari di questa situazione, non con la volontà di essere indelicati di fronte alle tragedie palestinesi e israeliane, ma volendo occuparci (in questo articolo) di ciò che più ci compete: l’economia.
Primo impatto: torna a salire il Petrolio
I conflitti in Medio Oriente sono sempre un enorme fattore di rischio per gli equilibri economici e geopolitici mondiali.
Circa un terzo di tutto il petrolio prodotto a livello mondiale proviene da quest’area, ed ogni tensione può generare effetti importanti sul suo prezzo.
In realtà, per quanto preoccupati, i mercati non temono (al momento) una crisi petrolifera come quella scatenatasi nel 1973 a seguito della Guerra Arabo-Israeliana. Rispetto agli anni Settanta, infatti, i grossi produttori di petrolio che avevano partecipato al conflitto dello Yom Kippur (Siria ed Egitto), non sono ad oggi direttamente coinvolti.
Dopo aver registrato un +4% nella sola giornata di lunedì, i prezzi del greggio si sono quindi stabilizzati nella giornata successiva, chiudendo ieri addirittura in calo.
Se non avverranno ulteriori escalation di violenza che possano portare al coinvolgimento dei grandi produttori (Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi), i prezzi del greggio dovrebbero mantenersi sotto controllo.
Decolla il prezzo del Gas
Se la risalita del petrolio al momento non sembra destare grosse preoccupazioni, altrettanto non si può dire di quella del Gas, che ha segnato un aumento del +15% nella giornata di lunedì e del +11,7% martedì.
L’Europa, dopo la chiusura dei rapporti con Mosca, è tornata a dipendere fortemente dal fronte medio e sud-orientale per le proprie forniture di Gas, e la situazione tra Palestina e Israele ha riacceso le speculazioni.
Lo stop imposto in via precauzionale da Israele al colosso energetico Chevron per la produzione di Gas nel giacimento di Tamar (giacimento offshore, situato a 12 miglia dalla striscia di Gaza) e la chiusura del gasdotto che collega la Finlandia all'Estonia (a causa di un probabile sabotaggio), hanno fatto schizzare i prezzi.
E i timori che quest’ultimi possano salire ulteriormente sono forti.
Fortunatamente, dopo una corsa durata due giorni, mercoledì i prezzi sono tornati a calare, raggiungendo quota €45 per megawatt.
Ma a salire non è stato solo il gas….
Che ci sia tensione sui mercati lo si capisce immediatamente dall’andamento del metallo prezioso per eccellenza: l’oro.
Passando da $1.823 a $1.884 l’oncia, la sua risalita testimonia che per quanto la situazione da un punto di vista finanziario non sia ancora allarmante, un po’ di timore, sui mercati, è già arrivato.
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POLITICHE DELL’EUROPA
💰 Arriva una tassa per chi inquina di più?
Credits immagine: Grist / Getty Images / Chip Somodevilla
Dal primo ottobre di quest’anno, in Unione Europea è entrata in vigore la “Carbon Tax alle frontiere” - Carbon Border Adjustment Mechanism (o CBAM), ovvero una tassa che colpirà le aziende NON europee che esportano all’interno dell’UE una serie di prodotti ad alta intensità energetica.
A partire da questo mese, infatti, le aziende non EU che importano in EU e che operano in settori come…
🧱 Cemento
🛤️ Ferro e Acciaio
🥫 Alluminio
🌱 Fertilizzanti
⚡️ Elettricità e Idrogeno
…dovranno iniziare a monitorare e comunicare le proprie emissioni di CO2 all’Unione Europea, in attesa che questa tassa sulle emissioni entri in vigore dal 2026 (dal 1 ottobre parte l’obbligo di monitoraggio, mentre dal 2026 si inizierà a pagare in funzione delle emissioni).
Ma che problema vuole risolvere?
🤑 Già da qualche tempo, le aziende europee che operano in questi settori devono pagare una “tassa” sulla CO2 che emettono nella loro attività produttiva
❌ Altre aziende dello stesso settore che non producono in EU, ma che importano in EU i loro prodotti non sono invece obbligate a pagare questa “tassa”
🥵 Questo crea un problema di concorrenza sleale, dato che le aziende che importano da fuori possono praticare prezzi più bassi anche in virtù dei minori obblighi ambientali che hanno nei loro processi produttivi
🌳 E crea anche un incentivo per le aziende europee a delocalizzare la produzione verso Paesi emergenti, dove le norme ambientali sono meno stringenti
Il senso della manovra è quindi piuttosto chiaro:
I produttori stranieri dovranno pagare lo stesso prezzo per le emissioni di carbonio pagato dai produttori dell’UE, così da ripristinare condizioni di concorrenza leale, incoraggiare una produzione più ‘green’ anche all’estero e impedire la delocalizzazione delle industrie europee verso Paesi emergenti (con conseguenti perdite di occupazione).
Ma questo CBAM sarà introdotto lentamente…
A partire dal 1° ottobre, per continuare a esportare verso l’UE, le imprese straniere di questi settori dovranno raccogliere i dati sulle emissioni e comunicarli a un registro tenuto dalla Commissione Europea.
Dal 1° gennaio 2026, gli importatori (chi compra da fuori UE) dovranno dichiarare ogni anno la quantità di merci importate nell’UE nell’anno precedente, e le emissioni di carbonio incorporate in tali prodotti.
Sulla base dei dati dichiarati, gli esportatori (le aziende straniere che vendono verso l’UE) dovranno poi pagare una tassa di “aggiustamento” per coprire il divario del prezzo del carbonio tra i prodotti non UE e quelli UE.
Questo per far sì che gli ambiziosi obiettivi climatici (diventare il primo continente carbon-neutral entro il 2050), non siano compromessi dalla delocalizzazione da parte delle imprese della produzione in altri paesi, o dalla sostituzione dei prodotti europei con importazioni dall’impatto climatico maggiore.
Certo, non mancano i dubbi su questa nuova mossa
Secondo alcuni, una volta entrata effettivamente in vigore, la Carbon Tax potrebbe colpire i Paesi Emergenti, riducendo le loro esportazioni verso l’Europa (dato che diventerebbero meno convenienti rispetto ad ora).
E altra contro-indicazione è che questa manovra potrebbe anche impattare i prezzi delle materie prime, che potrebbero aumentare per noi consumatori.
Nonostante ciò, però, se vogliamo raggiungere (o almeno avvicinarci) agli obiettivi di Carbon Neutrality al 2050, normative di questo tipo non sono solo importanti, ma sono per certi versi fondamentali.
PER APPROFONDIRE:
Quando si parla di tassa sul carbonio, è necessario distinguere tre concetti:
Carbon Tax: (clicca qui): è una tassa fissa che fa gravare su aziende o consumatori il prezzo delle emissioni di carbonio (es: €100 di tassa per ogni tonnellata di CO2e emessa)
Emissions Trading System (ETS): sono crediti di carbonio certificati che possono essere comprati o venduti tra aziende e che permettono alle aziende che emettono più CO2e di compensare la loro CO2e con quella di aziende virtuose che ne emettono poca o che ne tolgono dall’atmosfera.
Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): è ciò di cui abbiamo parlato in questo articolo, quindi un meccanismo per equiparare i costi ambientali sostenuti da chi produce in EU e chi importa in EU (che ha normative ambientali meno stringenti).
GLI ANGOLI
⛽️ Italia e Eu: scorte di gas sopra il 97% (Ansa)
🇮🇹 FMI: tagliate le stime sul PIL dell’Italia (Ansa)
💰 Tim Cook: quasi $90 milioni dalla vendita di azioni Apple (Investopedia)
🤖 ChatGPT: $4.6 milioni e 15,6 milioni di download per l’app di OpenAI (TC)
🎽 Il centro di ricerca italiano dedicato ai tessuti sportivi (Wired)
🍷 L’agricoltura 4.0 per il vino del futuro (Wired)
🤑 Lidl cerca un Digital Real Estate Project Manager
✍️ WeSchool cerca un Business Operation Intern
🆕 McKinsey cerca un Junior Consultant - Manufacturing
💰️ P&G cerca un Analytics & Insight Intern
Il 12 ottobre 1942, dopo aver attraversato l'Oceano Atlantico, l'esploratore italiano Cristoforo Colombo avvista un'isola delle Bahamas credendo di essere giunto in Estremo Oriente.
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