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💻 La battaglia invisibile per i microchip

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!

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  • 💻 La battaglia invisibile per i microchip

  • 🛡️ Investire in Difesa: un "affare" per l'economia italiana?

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Mentre stai leggendo questo messaggio:

  • 🇺🇸 Un'azienda tech in California sta lanciando il prossimo software rivoluzionario

  • 🇩🇪 Un'industria in Germania sta innovando la mobilità elettrica

  • 🇯🇵 Una startup in Giappone sta ridefinendo la robotica

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Investire comporta dei rischi

GEOPOLITICA

💻 La battaglia invisibile per i microchip

Stati Uniti e Cina sono impegnati in una guerra non convenzionale, combattuta senza armi tradizionali, ma con investimenti miliardari, alleanze strategiche e sanzioni commerciali.

L'obiettivo?

 Il dominio dei microchip, componenti quasi invisibili che rappresentano il cuore pulsante di ogni tecnologia moderna.

Dagli smartphone ai frigoriferi, dai droni militari ai sistemi di intelligenza artificiale che stanno rivoluzionando ogni settore: tutto dipende da questi minuscoli frammenti di silicio.

"I microchip sono il nuovo petrolio. Chi li controlla, controlla il futuro."

Robert Lind, economista di Capital Group

La posta in gioco è altissima: chi vincerà questa battaglia non otterrà solo ricchezza e prosperità economica, ma il vero dominio tecnologico e militare dei prossimi decenni.

E al centro di tutto c'è Taiwan, un'isola piccola ma cruciale, distante appena 100 km dalla costa cinese.

La storia dei microchip ha origine negli USA

Negli anni '60, pionieri come Intel, Motorola e Texas Instruments dominavano l'intero ciclo produttivo dei semiconduttori, dalla progettazione alla fabbricazione.

Negli anni '80, il panorama iniziò a cambiare quando il Giappone emerse come serio competitor nel settore. La reazione americana fu immediata: gli USA imposero dazi del 100% sui chip giapponesi per proteggere la propria industria.

Contemporaneamente, le aziende americane realizzarono che produrre chip stava diventando sempre più costoso, decidendo strategicamente di concentrarsi sulla progettazione e delegare la produzione.

E in questo contesto… entra in scena Taiwan

In questo contesto di trasformazione globale, Taiwan si affermò come protagonista inaspettato. Nel 1987, Morris Chang fondò TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), creando un modello di business rivoluzionario: produrre chip per altre aziende senza mai competere con i propri clienti.

Questa visione si rivelò geniale e trasformò rapidamente Taiwan in un attore imprescindibile della tecnologia mondiale.

Tanto che TSMC oggi:

  • 🏭 Controlla circa il 90% della produzione mondiale dei chip più avanzati

  • 🔬 Realizza microchip 50.000 volte più piccoli di un capello umano

  • 🌍 Ha clienti come Apple, Nvidia, AMD e Qualcomm

Il governo taiwanese ha sostenuto attivamente questo sviluppo strategico, implementando politiche che hanno progressivamente trasformato l'isola in un centro nevralgico dell'economia tecnologica globale.

Ma se Taiwan si occupa della produzione dei microchip…

…la supply chain è un puzzle globale

Oggi, l'industria dei semiconduttori è una rete di interdipendenze globale:

  • 🇺🇸 Gli Stati Uniti controllano la progettazione dei chip (con aziende come Nvidia e AMD)

  • 🇯🇵 Il Giappone, produce i materiali e prodotti chimici che servono per i chip

  • 🇳🇱 L'Olanda produce le macchine necessarie per fabbricare i chip (attraverso ASML)

  • 🇹🇼 Taiwan (con TSMC) domina la produzione

  • 🇨🇳 La Cina è un enorme cliente finale... ma vorrebbe di più

Questo equilibrio è estremamente fragile e sta creando tensioni geopolitiche senza precedenti.

Insomma, l’equilibrio è precario…

Certo, per gli USA, la configurazione attuale risulta ideale: mantengono il controllo sulla progettazione, il segmento più redditizio della catena, e godono di stretti legami con Taiwan. L'isola, dal canto suo, beneficia della protezione americana contro le ambizioni cinesi, creando quello che alcuni analisti definiscono uno "scudo di silicio".

La Cina si trova invece in una posizione svantaggiosa: soffre per la dipendenza tecnologica e vede in Taiwan non solo un obiettivo politico di riunificazione nazionale, ma anche la chiave per colmare il proprio gap tecnologico strategico.

Il problema? La dipendenza da Taiwan è molto rischiosa

La pandemia ha mostrato quanto sia pericoloso dipendere da un'unica fonte per componenti così critici. E ora nessuno vuole più dipendere da un'isola che potrebbe diventare un campo di battaglia.

Ecco cosa stanno facendo le grandi potenze:

🇨🇳 Cina:

  • Ha investito oltre $140 miliardi di dollari nella sua industria dei semiconduttori

  • È riuscita a produrre chip a 7 nanometri (TSMC è già a 3 nanometri)

🇺🇸 Stati Uniti:

  • Hanno approvato il Chips Act da $52 miliardi

  • Hanno convinto TSMC a costruire fabbriche in Arizona ($40 miliardi di investimento)

🇪🇺 Unione Europea:

  • Ha lanciato l'European Chips Act da €43 miliardi

  • La Germania sta attirando investimenti significativi da aziende come Intel

Il problema? Nessuna di queste iniziative darà frutti nel breve termine. Costruire una fabbrica di chip richiede 3-5 anni, e raggiungere l'esperienza di TSMC richiede decenni.

Cosa ci aspetta nel 2025?

La dipendenza globale da Taiwan persiste, mantenendo vivi i rischi geopolitici e tutto ciò potrebbe avere impatti concreti nelle nostre vite quotidiane:

  • 💸 I prezzi dell'elettronica di consumo potrebbero aumentare

  • 🔒 Ci saranno più restrizioni all'esportazione di tecnologie avanzate

  • 🏭 Vedremo l'apertura delle prime nuove fabbriche in USA ed Europa

  • 🛡️ Taiwan riceverà sempre più supporto militare dagli USA

  • 🇨🇳 La Cina potrebbe diventare sempre più aggressiva nella sua retorica

Nel frattempo, la corsa all'intelligenza artificiale rende i chip avanzati ancora più cruciali…

Se ti interessa scoprire tutti i dettagli di questa guerra tecnologica, dai transistor degli anni '50 fino alle tensioni geopolitiche di oggi, abbiamo realizzato un video sul nostro canale YouTube 👇️ .

ITALIA

🛡️ Investire in Difesa: un "affare" per l'economia italiana?

Negli ultimi tempi, la Difesa è al centro del dibattito politico europeo: con il lancio di ReArm Europe da parte della Commissione europea, si prevede che la spesa dei Paesi membri in difesa aumenterà notevolmente, suscitando non poche perplessità tra i cittadini.

Ma quanto vale il settore difesa in Italia?

Negli ultimi anni, l'Italia ha consolidato la sua posizione nel mercato internazionale della difesa:

  • 🌍️ È al sesto posto mondiale nell'esportazione di armamenti

  • 📈 Dal 2020, ha registrato un impressionante +138% nelle esportazioni di materiale bellico

  • 💰 Il bilancio italiano annuo supera i €30 miliardi

  • 🚀 Circa 4.000 imprese sono attive nel comparto Aerospazio, Difesa e Sicurezza (AD&S)

  • 🔝 Il settore mostra una crescita costante nell'ultimo decennio

La difesa italiana è nelle mani di due colossi

Il mercato italiano della difesa è altamente concentrato: Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica) e Fincantieri generano insieme circa l'80% del fatturato dell'intera industria militare nazionale.

  • 🔹 Leonardo è un gigante dell'aerospazio e difesa, stabilmente tra i top10 globali del settore. Con 31.000 dipendenti solo in Italia, rappresenta il maggior datore di lavoro industriale del comparto.

  • 🔹 Fincantieri è uno dei leader mondiali della cantieristica navale militare, con competenze all'avanguardia nella progettazione e costruzione di navi da guerra e sottomarini.

Cosa succederebbe con maggiori investimenti nella difesa? 

Nell'introduzione al Documento programmatico pluriennale per la Difesa 2024-2026, il ministro della difesa Guido Crosetto ha fornito alcuni dati riguardo all’effetto moltiplicatore degli investimenti in difesa:

  • 💰 Ogni euro investito nella Difesa genera circa €2 addizionali di valore aggiunto per il Paese

  • 👉️ Potrebbe aggiungere fino a 0,3-0,5% di PIL all'anno

Il ministro ha anche sottolineato “il ruolo di volano di crescita e stimolo alla competitività industriale, che gli investimenti nel settore della Difesa hanno sull'intera economia”.

Questo anche perché aumenterebbe l’occupazione

Uno degli aspetti più rilevanti dell'industria della difesa è la sua capacità di generare posti di lavoro altamente qualificati.

Attualmente, gli addetti impiegati direttamente nelle aziende del comparto difesa sono stimati in circa 50–55 mila unità sul territorio nazionale.

Accanto agli occupati diretti, vi è un ampio indotto occupazionale generato a cascata lungo la filiera. Ad esempio:

  • 🧮 Leonardo stima che per ogni 100 dipendenti diretti, vengano attivati altri 260 posti di lavoro nell'indotto nazionale

  • 🏢 Complessivamente, si calcola che il settore impieghi indirettamente decine di migliaia di lavoratori aggiuntivi

Un esempio? Il GCAP

Un caso emblematico dell'impatto che un progetto della Difesa può avere in ambito occupazionale è quello del caccia di sesta generazione, noto come "GCAP" (Global Combat Air Programme), che vede coinvolti Italia, Regno Unito e Giappone.

Questo aereo da combattimento rappresenta non solo un progetto aerospaziale ma un programma di sviluppo tecnologico per il Paese:

  • 👨‍💻 Il programma impiega attualmente circa 9.000 persone nei tre Paesi coinvolti

  • 🇮🇹 In Italia lavorano già circa 3.000 persone sul progetto

  • 🚀 A regime, si prevede che sosterrà circa 8.600 nuovi posti di lavoro in Italia per i prossimi 35 anni

  • 📊 La produttività media nel settore aumenterà di circa il 35%

Nonostante i risvolti positivi, l’aumento delle spese militari solleva parecchie critiche

Nella situazione economica attuale, destinare miliardi alla difesa anziché in welfare o sanità pubblica viene visto come una scelta discutibile.

Molti economisti criticano anche l'effettivo ritorno degli investimenti militari, sostenendo che:  

  • ⚠️ I calcoli sull'effetto moltiplicatore spesso non considerano i costi-opportunità, ovvero ciò che si perde non investendo in altri settori

  • 🔍 La concentrazione dei benefici in poche grandi aziende limita la diffusione della ricchezza generata

  • 🌱 Investimenti simili in settori alternativi potrebbero generare ritorni superiori

Secondo te, l'Italia dovrebbe aumentare gli investimenti nel settore della Difesa per stimolare l'occupazione e l'economia?

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