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💻️ Il giorno in cui Internet è morto: lo scoppio della bolla dot-com

Buongiorno! Questo è il Punto, la newsletter che ti spiega l’economia e l’attualità in modo semplice e veloce!
Ecco cosa offre il menù di oggi:
💻️ Il giorno in cui Internet è morto: lo scoppio della bolla dot-com
🌍 Dove conviene emigrare? I paesi migliori (e peggiori) per chi cerca fortuna all'estero
IN COLLABORAZIONE CON: Scalable Capital
💻️ Il giorno in cui Internet è morto: lo scoppio della bolla dot-com

Il 10 marzo del 2000, il NASDAQ raggiunge quota 5.048 punti, segnando il massimo storico dell’indice tecnologico.
Le strade di Manhattan, i grandi uffici di Wall Street, e anche i piccoli risparmiatori di provincia sono tutti conquistati da una stessa febbre: internet.
Le startup digitali promettono di cambiare il mondo e di farlo stampando una vagonata di soldi.
Ma proprio quando sembra che il futuro stesse per arridere a tutti, il castello di carte crolla. In soli due anni, oltre $5.000 miliardi svaniscono nel nulla e le aziende dotcom falliscono a ritmo vertiginoso.
Quel sogno digitale, per molti, si trasforma in un incubo.
Le radici economiche e culturali della bolla
Per capire la bolla delle dotcom, dobbiamo tornare agli anni '70.
L'America era un paese in crisi: la guerra del Vietnam e la crisi petrolifera del 1973 hanno messo l'economia statunitense in ginocchio.
Per uscirne, nel 1979 il nuovo presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, avvia il cosiddetto Volcker Shock, una politica monetaria estremamente restrittiva basata su forti aumenti dei tassi di interesse per fermare l’inflazione, anche a costo di una recessione.
La strategia funziona e negli anni Ottanta, con Reagan, si affermano deregulation, fiducia nel libero mercato e centralità della Borsa.
Negli anni Novanta, investire diventa parte integrante dello stile di vita americano e il mercato azionario entra stabilmente nella cultura di massa.
Nel cuore di questa trasformazione, arriva internet
Negli anni '90, la rete è ancora un territorio per tecnici, ma nel 1993 Mosaic, il primo browser con un’interfaccia grafica, rivoluziona l'accesso al web.
Marc Andreessen, uno degli sviluppatori di Mosaic, capisce subito il potenziale di internet e fonda Netscape, il primo vero browser commerciale, che rende il web accessibile al grande pubblico e apre la strada alle prime grandi aziende digitali, come Yahoo!, Amazon ed eBay.

La quotazione in Borsa di Netscape nel 1995 segnz uno spartiacque: per la prima volta una startup ottiene valutazioni gigantesche pur senza profitti consolidati.
È il segnale che il mercato è disposto a pagare oggi per un futuro ancora tutto da dimostrare.
Il meccanismo che gonfia la bolla
La bolla si alimenta grazie a un sistema di incentivi distorti.
Le banche d’investimento spingono le IPO di startup immature (IPO, Initial Public Offering, cioè la prima quotazione di un’azienda in Borsa), gli analisti promuovono titoli iper-valutati e i media trasformano la finanza in intrattenimento.
Anche i piccoli risparmiatori iniziano a comportarsi come investitori professionisti, convinti che ogni dotcom fosse destinata a diventare un colosso globale.
I principali ingranaggi di questo meccanismo sono quindi:
🏦 IPO aggressive, con aziende spesso non profittevoli portate in Borsa a valutazioni altissime
👊 Conflitti di interesse, con analisti che lavorano per le stesse banche che guadagnano dalle quotazioni
📈 Euforia mediatica, che alimenta la FOMO e spinge nuovi investitori a entrare sul mercato
❌ Assenza di controllo sui fondamentali, perché tutti credono che il futuro avrebbe giustificato qualsiasi prezzo
Il picco e l’inversione di rotta
Nel marzo del 2000 il NASDAQ tocca il suo massimo storico.
Pochi giorni dopo, un cambiamento nel sentiment globale e alcune notizie negative dal Giappone innescano le prime vendite.
Gli investitori iniziano finalmente a guardare i bilanci e scoprono che molte dotcom bruciano cassa senza un percorso credibile verso la redditività.
La fiducia evapora rapidamente e la discesa diventa una valanga.
Il crollo e i fallimenti simbolo
Tra il 2000 e il 2002 il NASDAQ perde circa il 78% del suo valore e oltre $5.000 miliardi di capitalizzazione svaniscono.

Aziende come Pets.com, Webvan e TheGlobe.com diventano i simboli di una bolla costruita su promesse irrealistiche, mentre milioni di risparmiatori vedono i risparmi di una vita ridursi drasticamente.
La caccia ai responsabili
Dopo il crollo, l’euforia lascia spazio alla rabbia.
Le autorità avviano indagini su analisti e banche d’investimento, ed emergono gravi conflitti di interesse.
Alcuni analisti vengono banditi dal settore, le grandi banche pagano multe miliardarie e il sistema è costretto a riscrivere le regole, separando più nettamente attività di analisi e operazioni di investimento.
Chi è sopravvissuto e le lezioni della bolla
Non tutte le aziende nate durante la bolla erano destinate a fallire.
Amazon, eBay, Google e altre sono riuscite a superare il crollo, dimostrando che la visione di fondo era corretta, ma terribilmente in anticipo.
La bolla delle dotcom ci insegna che le rivoluzioni tecnologiche sono reali, ma richiedono tempo.
E i mercati tendono a esagerare nel breve periodo e a sottovalutare il lungo termine, ricordandoci che entusiasmo e prudenza devono sempre camminare insieme.
Investire comporta dei rischi
ECONOMIA
🌍 Dove conviene emigrare? I paesi migliori (e peggiori) per chi cerca fortuna all'estero

Cercare fortuna all'estero è un pensiero che prima o poi attraversa la mente di molti.
E in effetti, solo nel 2024, ben 6,2 milioni di persone hanno deciso di trasferirsi stabilmente in un paese OCSE.
Ma ecco la domanda che tutti si fanno: dove conviene davvero andare? Perché spoiler: non tutti i paesi offrono le stesse opportunità. In alcuni gli stipendi degli immigrati crescono fino al +48% in 5 anni, in altri addirittura scendono.
A fare chiarezza ci pensa l'ultimo report dell'OCSE, l'International Migration Outlook 2025, che ha analizzato i dati su stipendi e occupazione degli immigrati in 38 paesi.
Ma quanto guadagna un immigrato rispetto a un lavoratore locale?
Partiamo da un dato che fa riflettere: in media, un immigrato che entra nel mercato del lavoro guadagna il 34% in meno rispetto a un lavoratore nato nel paese, a parità di età e genere.
Come mai?
Questo gap è legato al fatto che gli immigrati tendono a lavorare in settori e aziende che pagano meno. Spesso si tratta di lavori meno qualificati o in settori dove la competizione è alta e i salari sono più bassi.
La buona notizia è che questo divario si riduce nel tempo:
📉 Dopo 5 anni, il gap scende al 21% (13 punti in meno rispetto all'ingresso)
📉 Dopo 10 anni, il divario si dimezza ulteriormente
In che modo? Gli immigrati, man mano che acquisiscono esperienza e credenziali, tendono a spostarsi verso aziende e settori che pagano meglio.
Ma quindi, dove crescono di più gli stipendi degli immigrati?
Se state cercando il luogo dove l'ascensore sociale funziona meglio per i nuovi arrivati, dovete guardare a Berlino.

La Germania guida la classifica con una crescita impressionante dei salari degli immigrati: +48% nell'arco di cinque anni. Un dato che riflette la fame di manodopera dell'industria tedesca, ma anche una buona capacità di assorbimento del mercato del lavoro.
Subito dietro troviamo:
🇸🇪 Svezia: +44%
🇺🇸 Stati Uniti: +43%
🇫🇮 Finlandia: +42%
Nel caso americano, il salto è il più rilevante in termini assoluti: si passa da circa $27.000 del primo anno a oltre $39.000 nel quinto.
Il "Sogno Americano", numeri alla mano, sembra godere ancora di discreta salute.
Ma in Italia come siamo messi?
Il nostro Paese si piazza a metà classifica, con una crescita del reddito del 29% in cinque anni.
Il dato percentuale potrebbe sembrare lusinghiero, superiore a quello di Francia (+19%), Canada (+27%) e Spagna (+27%)...
...ma nasconde la solita, triste verità dei salari italiani.
Guardando i valori assoluti in dollari (a parità di potere d'acquisto), si nota l'abisso:
🇮🇹 Un immigrato in Italia parte da circa $14.892 e arriva a $19.236 dopo cinque anni
🇩🇪 In Germania, nello stesso periodo, si arriva a oltre $25.000
🇺🇸 Negli Stati Uniti si tocca quasi $40.000
Questo riflette una struttura economica stagnante, con una domanda interna debole e una produttività che non cresce abbastanza da supportare aumenti significativi dei salari.
Le sorprese negative
Non tutte le economie sviluppate offrono buone prospettive per chi emigra: nei Paesi Bassi e in Nuova Zelanda, i salari reali degli immigrati scendono del 6% dopo cinque anni.
Le cause possono essere diverse: dalla tipologia di visti temporanei che non permettono una vera progressione di carriera, a un mercato del lavoro che forse "intrappola" i nuovi arrivati in nicchie a bassa produttività.
Oltre allo stipendio, conta anche riuscire a trovare un’occupazione
E qui arriva una sorpresa: nei paesi OCSE, gli immigrati partecipano al mercato del lavoro più dei locali. In media, il 77% degli immigrati è attivo (cioè lavora o cerca lavoro), contro il 76% dei nativi.
Ma le differenze tra paesi sono notevoli:
🇨🇱 Cile: gli immigrati hanno un tasso di partecipazione dell'83%, ben 14 punti sopra i locali (69%)
🇬🇧 Regno Unito: gli immigrati superano leggermente i nativi, con un tasso di occupazione del 76%
Dall'altra parte della classifica:
🇳🇱 Paesi Bassi: i nativi partecipano 11 punti in più degli immigrati
🇹🇷 Turchia: stesso divario di 11 punti a sfavore degli immigrati
🇩🇪 Germania: nonostante la forte crescita salariale, i nativi (82%) partecipano più degli immigrati (74%)
Insomma…
Emigrare può essere un'ottima scelta dal punto di vista economico, ma la destinazione fa tutta la differenza del mondo.
Non basta scegliere un paese "ricco": bisogna guardare anche alle reali opportunità di crescita salariale e alle possibilità di inserimento nel mercato del lavoro.
Se dovessi emigrare per lavoro, dove andresti? |

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