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🌉 Il Ponte sullo Stretto diventa una questione NATO

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Il menù di oggi prevede:

  • 🌉 Il Ponte sullo Stretto diventa una questione NATO

  • ⚖️ Google vince la battaglia: Chrome e Android restano in casa

DIFESA

🌉 Il Ponte sullo Stretto diventa una questione NATO

Il governo italiano ha avuto un’idea quantomeno originale: inserire i €13,5 miliardi destinati al Ponte sullo Stretto di Messina all’interno delle spese militari richieste dalla NATO.
Una mossa che, però, non è affatto piaciuta a Washington.

L’ambasciatore americano presso la NATO, Matthew Whitaker, ha stroncato la proposta senza troppi giri di parole: l’Italia sta tentando di far rientrare un progetto infrastrutturale in spese di difesa per raggiungere il target del 5%, ma gli Stati Uniti non intendono accettarlo.

Ma cosa c’entra il Ponte sullo Stretto con la NATO?

L'idea del governo italiano non è completamente campata in aria.

Le giustificazioni principali sono:

  • 🏗️ Un documento governativo di aprile descrive il ponte come di "importanza strategica" per la sicurezza nazionale e internazionale

  • 🪖 La Sicilia ospita numerose basi militari importanti, incluse quelle NATO

  • 🚛 Il ponte faciliterebbe enormemente gli spostamenti delle forze armate tra l'isola e il continente

Il ministro dei Trasporto Matteo Salvini a tal proposito ha dichiarato: "Potrebbe essere a doppio uso, quindi ci potrebbe essere un utilizzo multiplo anche per ragioni di sicurezza".

Ma gli USA non ci stanno…

Gli Stati Uniti, però, non si lasciano convincere. Al Bled Strategic Forum in Slovenia, Whitaker ha sottolineato che alcuni Paesi “stanno adottando una visione troppo ampia delle spese di difesa”, e che questo non sarà accettato.

Il messaggio è chiaro: il target NATO del 5% non ammette scorciatoie. Niente ponti, scuole o infrastrutture camuffate da investimenti militari.

Gli alleati, e in particolare Washington, si aspettano che i fondi vadano in armamenti, battaglioni e mezzi militari, non in “stravaganti opere ingegneristiche”.

Ma cosa s’intende per il “target NATO al 5%”?

Durante il summit NATO svoltosi a L’Aia il 24 e 25 giugno 2025, i leader dei 32 Paesi membri hanno concordato un nuovo obiettivo di spesa per la difesa (sotto richiesta esplicita del Presidente Trump): destinare il 5% del PIL annuo alla difesa e alla sicurezza entro il 2035.

Questo 5% si divide in due voci principali:

  • 💣 3,5% per spese di difesa vera e propria: armamenti, soldati, personale militare

  • 🛡️ 1,5% per spese di sicurezza: infrastrutture come porti e ferrovie utilizzabili in caso di guerra, sicurezza informatica, cavi sottomarini per energia e dati, persino gestione dell'immigrazione

Si tratta di un percorso graduale, ma da rispettare “senza trucchi”, come ripetono gli americani.

E qui arriva il problema per l’Italia…

Per l’Italia l’obiettivo è enorme. Secondo l’osservatorio indipendente Mil€x, raggiungere il 5% del PIL in difesa significherebbe:

  • 💶 spendere oltre €400 miliardi in più nei prossimi dieci anni

  • 📈 aumentare ogni anno il budget per la difesa di circa €40 miliardi, rispetto al livello attuale (pari al 2% del PIL)

Numeri difficili da sostenere, che hanno spinto il governo a tentare soluzioni “creative”.

E noi abbiamo precedenti nel far quadrare i conti in modo quantomeno “originale“

Nel 2014, al vertice del Galles, l’Italia si era impegnata a raggiungere il 2% del PIL per la difesa entro il 2025.

Obiettivo formalmente rispettato, ma solo grazie a un’operazione di “ingegneria contabile”:

  • 👴 Le pensioni dei militari (che prima erano nel bilancio INPS)

  • 🚀 Le spese per lo Spazio

  • 🚢 I costi della guardia costiera e guardia di finanza

  • 🚨 Alcune voci di spesa della Protezione civile

Questo espediente è stato sostenuto soprattutto dall’ultimo govenro, che è riuscito a sfruttare alcune ambiguità delle regole finanziarie NATO.

E avrebbe voluto riprovarci anche stavolta, ma questa volta gli Stati Uniti hanno già chiuso la porta.

Per rispettare l’impegno del 5%, l’Italia dovrà trovare risorse reali: carri armati, truppe, sistemi di difesa. Non basteranno più gli artifici contabili.

Secondo te, l'Italia dovrebbe classificare il Ponte sullo Stretto come spesa militare?

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GIUSTIZIA

⚖️ Google vince la battaglia: Chrome e Android restano in casa

Il dipartimento di Giustizia statunitense voleva smantellare l'impero di Google, ma il colosso di Mountain View ha vinto il primo round.

Un giudice federale ha respinto la richiesta di Washington di costringere Google a vendere Chrome e Android, due dei suoi asset più preziosi. La sentenza, arrivata ieri, ha fatto volare il titolo di Alphabet (+7% nell'after-hours) e ha ridefinito i confini della battaglia contro i monopoli tech.

Ma facciamo un passo indietro.

Perché Washington accusava Google?

Il caso nasce da una sentenza del 2024 che aveva stabilito che Google detiene il monopolio della ricerca web tramite Chrome e lo protegge con mezzi sleali.

Sulla base di questo verdetto, il governo americano aveva chiesto misure drastiche:

  • 🌐 La vendita forzata di Chrome, il browser più utilizzato al mondo (67% delle quote di mercato)

  • 📱 La cessione di Android, il sistema operativo mobile che domina il mercato

  • 🔍 Limiti agli accordi esclusivi con aziende come Apple

Il governo sosteneva, infatti, che questi asset fossero utilizzati da Google per mantenere illegalmente il monopolio nel mercato.

Ma la sentenza del giudice ha smentito le accuse

Il giudice Amit Mehta ha scritto 230 pagine per spiegare la sua decisione, ma il succo è questo: il governo ha esagerato.

Amit Mehta, giudice del caso Google

Secondo il giudice, Google non dovrà vendere né Chrome né Android perché "non ha utilizzato queste risorse chiave per attuare alcuna restrizione illegale".

Ma la vittoria di Google non è totale. Il giudice ha infatti stabilito che:

  • Google non potrà più stipulare accordi esclusivi per la distribuzione dei suoi servizi principali

  • Potrà comunque pagare aziende come Apple o Mozilla per preinstallare i suoi servizi (ma senza esclusività)

  • 📊 Dovrà condividere alcuni dati del motore di ricerca con i concorrenti

Insomma, Google mantiene i suoi gioielli di famiglia ma con qualche limitazione in più.

C’è, però, un “ma“ importante

La sentenza obbliga Google a condividere informazioni preziose con i suoi rivali.

In particolare, dovrà fornire:

  • 🗂️ Parti dell'indice di ricerca che Google crea scansionando il web

  • 👥 Alcune informazioni sulle interazioni degli utenti

  • 📈 Altri dati che potrebbero aiutare concorrenti come Bing, DuckDuckGo e persino OpenAI

Queste informazioni hanno un valore enorme perché permetteranno ai competitor di migliorare i propri prodotti e, potenzialmente, di sfidare più efficacemente il dominio di Google.

È un po' come costringere un ristorante stellato a condividere parte delle sue ricette segrete con la concorrenza.

Intanto, la Borsa festeggia…

Gli investitori hanno tirato un sospiro di sollievo.

Il timore era che Google venisse smembrata, compromettendo il valore dell'azienda. Invece:

  • 📈 Alphabet (la società madre di Google) ha guadagnato il 7% nelle contrattazioni after-hours

  • 🍎 Anche Apple è salita del 3%, rassicurata dal fatto che potrà continuare a ricevere miliardi per preinstallare Google sui suoi dispositivi

I documenti del processo hanno rivelato che Apple riceve miliardi di dollari all'anno per mantenere Google come motore di ricerca predefinito su iPhone. Anche Mozilla, sviluppatore di Firefox, questi accordi rappresentano una fonte fondamentale di entrate.

Un dettaglio interessante: nell'UE gli utenti devono scegliere esplicitamente quale motore di ricerca utilizzare, ma il giudice ha respinto questa opzione per gli Stati Uniti.

Cosa succede ora?

La battaglia non è finita.

Google ha già annunciato che presenterà ricorso contro la decisione del giudice Mehta, il che significa che questa sentenza potrebbe essere solo il primo round di una lunga battaglia legale che potrebbe durare anni.

Nel frattempo, l'azienda dovrà adattarsi alle nuove regole imposte dal giudice, condividendo dati e rinunciando agli accordi di esclusività.

Per il governo USA, invece, è una sconfitta che potrebbe influenzare future azioni antitrust contro altri giganti tech come Meta, Amazon e Apple.

La vera domanda è: basteranno queste misure "soft" per ridurre il dominio di Google, o serviranno interventi più drastici in futuro?

E tu cosa ne pensi di questa sentenza?

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